202506.04
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Quando il tradimento è fonte di risarcimento del danno nei confronti del coniuge tradito.

In caso di reiterate violazioni del dovere di fedeltà coniugale, consumatesi nell’ambiente lavorativo della coppia, che aveva fondato una scuola di danza, il marito fedifrago è tenuto al risarcimento del danno subito dalla moglie, il cui ammontare va liquidato equitativamente, senza che si possa assumere come parametro di riferimento né il danno da perdita del vincolo parentale né il danno da diffamazione. Lo stabilisce il
Tribunale di Treviso, sentenza 12 febbraio 2025.

Il tradimento extraconiugale anche se in teoria non sempre porta all’addebito della separazione , può essere fonte di obbligazione da parte del coniuge fedifrago nei confronti dell’altro coniuge. Tuttavia non sempre chi tradisce deve risarcire il danno al tradito : l Tribunale, dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in tema di danno da violazione del dovere di fedeltà, ha accolto la domanda risarcitoria, ritenendo che, nel caso di specie, il tradimento reiterato aveva provocato nella donna turbamento e sofferenza, anche in ragione del fatto che la relazione extraconiugale era maturata nell’ambiente lavorativo, proprio con un’allieva della scuola di danza , scuola che aveva aperto assieme al marito.

Le condotte fedifraghe del marito avevano ingenerato nella donna depressione, tristezza, umiliazione con conseguente pregiudizio morale.

criterio risarcitorio, secondo il Tribunale, non può essere che quello equitativo ex
art. 1226 c.c., tenuto conto che il discredito è stato limitato al solo settore lavorativo.

Tuttavia La mera violazione dell’interesse del coniuge tradito alla fedeltà non integra, infatti, gli estremi della responsabilità aquiliana.

Nel bilanciamento tra l’interesse alla fedeltà del coniuge tradito e la libertà di autodeterminazione del coniuge fedifrago prevarrebbe la seconda. «Nel vigente diritto di famiglia, contrassegnato dal diritto di ciascun coniuge, a prescindere dalla volontà o da colpe dell’altro, di separarsi e divorziare, in attuazione di un diritto individuale di libertà riconducibile all’
art. 2 Cost.», sottolinea
Cass. civ. 18853/11, «ciascun coniuge può legittimamente far cessare il proprio obbligo di fedeltà proponendo domanda di separazione ovvero, ove ne sussistano i presupposti, direttamente di divorzio. Con il matrimonio, infatti, secondo la concezione normativamente sancita del legislatore, i coniugi non si concedono un irrevocabile, reciproco ed esclusivo ius in corpus — da intendersi come comprensivo della correlativa sfera affettiva — valevole per tutta la vita, al quale possa corrispondere un ‘diritto inviolabile’ di ognuno nei confronti dell’altro, potendo far cessare ciascuno i doveri relativi in ogni momento con un atto unilaterale di volontà espresso nelle forme di legge».

Perché si possa parlare di risarcimento del danno occorre che l’adulterio abbia comportato la lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente protetto. Al dovere di fedeltà, si precisa, non corrisponde un diritto alla fedeltà costituzionalmente protetto. L’adulterio può condurre al risarcimento del danno non patrimoniale solo laddove determini la lesione di altri diritti, come quello alla salute, alla reputazione, al decoro e all’onore. Il danneggiato deve allegare e provare precisi danni-conseguenza (salvo l’eventuale ricorso alla prova presuntiva).

Deve, infine, trattarsi di conseguenze che superino la soglia della tollerabilità.

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